La Suprema Corte, Sezione civile, con sentenza n. 3022 del 10 febbrario 2020, ha enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di effetti del giudizio di rinvio sul giudizio per dichiarazione di fallimento, ove la sentenza di rigetto del reclamo contro la sentenza dichiarativa, di cui all’art. 18 l.fall., sia stata cassata con rinvio, e il processo non sia stato riassunto nel termine prescritto, trova piena applicazione la regola generale di cui all’art. 393 c.p.c., alla stregua della quale alla mancata riassunzione consegue l’estinzione dell’intero processo e, quindi, anche l’inefficacia della sentenza di fallimento».
A parere della Corte, “Il giudizio di rinvio, come da tempo si dice, non è un nuovo giudizio di impugnazione (sia esso un appello, sia esso un reclamo), ma è ciò che serve alla fase rescissoria conseguente alla cassazione. L’estinzione dell’intero processo, in caso di mancata riassunzione, è consequenziale all’impossibilità di attivare la detta fase, al punto che l’art. 393 cod. proc. civ., contrariamente a quanto dispone l’art. 338 per l’estinzione del giudizio d’appello – cui consegue il passaggio in giudicato della sentenza appellata – prevede l’estinzione dell’intero processo come conseguenza dell’estinzione del giudizio di rinvio. L’art. 393 preserva così l’efficacia vincolante della pronuncia di cassazione, con l’unica particolarità che l’estinzione non può toccare le sentenze che (come ribadito da Cass. Sez. U n. 4071-10) abbiano definito il giudizio rispetto ad alcune delle domande, e che siano passate in giudicato poiché non investite dal ricorso per cassazione – ovvero che non abbiano formato oggetto della pronunzia di accoglimento di tale ricorso. Resta quindi decisivo constatare che, nel caso in cui sia mancata la riassunzione del giudizio di cui all’art. 18 legge fall. a seguito della cassazione della sentenza di rigetto del reclamo fallimentare, l’oggetto dell’estinzione non può essere scisso dal processo nell’ambito del quale era stata adottata la sentenza.”