La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 10747 del 5 giugno 2020, ha enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di espropriazione per pubblica utilità, nel caso in cui, per effetto della realizzazione o dell’ampliamento di una strada pubblica (nella specie, di una autostrada), il privato debba subire nella sua proprietà la creazione o l’avanzamento della relativa fascia di rispetto, quest’ultima si traduce in un vincolo assoluto di inedificabilità che di per sé non è indennizzabile, ma che, in applicazione estensiva della disciplina in tema di espropriazione parziale, non esclude il diritto del proprietario di essere indennizzato per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, quando risultino alterate le possibilità di utilizzazione della stessa ed anche per la perdita della capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste”.

A sostegno del suddetto principio , gli Ermellini, chiariscono che “il vincolo pur assoluto di inedificabilità riguarda esclusivamente l’area (di rispetto) cui esso si riferisce per legge, rispetto alla quale soltanto opera l’effetto ablatorio incidente sullo jus aedificandi, ma il proprietario deve essere indennizzato se per effetto del suddetto vincolo l’area residua risulti non più utilizzabile come lo era (o poteva essere) prima e deprezzata (anche) per essere ridotta la capacità edificatoria che le era propria in forza dell’unione con l’area destinata al rispetto stradale (nel senso della indennizzabilità delle porzioni residue dei fondi che subiscono l’imposizione di vincoli
di inedificabilità, cfr. Cass. n. 24435 del 2006, n. 2107 del 1982, n. 3576 del 1972, seppure con riferimento ad occupazioni illegittime).

Continuano “E’ utile riportare in tal senso un passaggio motivazionale di un precedente di legittimità: «il preesistente vincolo di inedificabilità (relativo all’obbligo di osservanza delle distanze previste per le costruzioni rispetto al ciglio stradale) gravante sull’area espropriata o su parte di essa, si sposta dall’area su cui gravava originariamente a quella contigua che diviene perciò, nella stessa misura, inedificabile, con la conseguenza che, in questo caso, l’esproprio colpisce un’area edificatoria, resa inedificabile nella parte in cui va a sostituire quella precedentemente destinata a zona di rispetto stradale (massima di Cass. n. 7303 del 1997, seguita da Cass. n. 14643 del 2001 e da Cass. n. 6518 del 2007)», senza possibilità di assimilare urbanisticamente l’area residua a quella di rispetto (inedificabile o agricola), restando la prima edificabile (Cass. n. 13970 del 2011).”

Per poi concludere, infine, che “Il criterio differenziale tipico dell’espropriazione parziale (che prevede la differenza tra il valore dell’intero fondo prima della vicenda ablatoria e quello della porzione residua) deve essere adattato alla specificità della fattispecie nella quale il privato resta proprietario dell’area di rispetto (sulla quale la perdita del diritto di edificare non è indennizzabile) e, nel caso in esame, egli non ha dedotto pregiudizi specificamente inerenti alla stessa, ma esclusivamente riguardanti l’area residua.
Il suddetto criterio non è del resto vincolante, potendo il giudice di merito accertare e calcolare la diminuzione di valore dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti (cfr. Cass. n. 24304 del 2011, n. 10217 del 2009, n. 11782 del 2007).
Nella specie, l’indennizzo eventualmente spettante al proprietario per la perdita di valore dell’area residua deve essere calcolato in relazione alla più limitata capacità edificatoria consentita sulla più ridotta superficie rimasta a seguito della creazione o dell’avanzamento della fascia di rispetto (in tal senso è anche Cass. n. 7195 del 2013), ma senza automatismi come quello, auspicato dalle ricorrenti, del trasferimento di cubatura da un’area all’altra.”

 

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